scritto da Michela Artuzzi (@psicologa.michela.artuzzi)
DOVE ERAVAMO RIMASTI?
Nell’articolo dello scorso mese vi ho elencato i motivi per cui, la lista dei buoni propositi, non andrebbe stilata; a sostegno di quanto detto, vi ho anche esposto il mio punto di vista a riguardo e sostenuto le mie ipotesi con degli esempi e spiegazioni pratici.
Oggi, con voi, vorrei ritornare a portare il focus sui Disturbi del Comportamento Alimentare che, nei mesi scorsi, abbiamo introdotto spiegandone le cause di insorgenza, il ruolo del gruppo dei pari, dei mass media e della famiglia anche nel loro mantenimento.
NON E’ UNA QUESTIONE DI DIETA
I DCA sono malattie subdole, colpiscono i pensieri prima del corpo e, per questo, risulta molto difficile accorgersi della loro insorgenza ma, anzi, familiari e amici riportano spesso di “essersene accorti quando ormai era tardi”; ma cosa vuol dire, nello specifico questa affermazione?
I DCA si manifestano attraverso pensieri intrusivi e pervasivi sull’alimentazione e sul corpo e sul modo in cui il soggetto vede la sua immagine corporea riflessa allo specchio; non sono legati (o almeno non principalmente) al peso corporeo. Si può soffrire di DCA anche avendo un peso nella media, ciò che fa la differenza sono i pensieri, le preoccupazioni che si manifestano in relazione al cibo e al proprio corpo.
Tipicamente, la nostra vita e i pensieri che la riguardano sono occupati da aree differenti che spaziano dal lavoro, allo sport, agli amici, allo studio, alla pulizia della casa, ai pasti e molto altro; ciò non accade in chi soffre di DCA, la loro mente, infatti, è occupata quasi interamente da pensieri legati al cibo, alle quantità, ai sensi di colpa per quanto mangiato o per i pasti successivi, allo sport praticato in eccesso o quello che sarà necessario una volta finito il pasto come metodo per compensare, al conteggio delle calorie, a quanto il corpo possa cambiare dopo un pasto o dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua.
La differenza quindi è sostanziale ma, allora, la domanda sorge spontanea: come si fa a non accorgersene?
La difficoltà sta proprio qui; vengono messi in atto una serie di comportamenti volti a nascondere all’esterno tutto ciò che accade all’interno della mente e del corpo per timore che, una volta scoperta la malattia, questa venga curata e quindi non si possano più mettere in atto tali comportamenti compensativi tipici della malattia stessa e che sono luogo sicuro per chi ne soffre.
Allora, direte voi, appare paradossale che una malattia rappresenti un luogo sicuro, ma, per chi ne soffre non lo è; rappresenta una sicurezza il poter avere il controllo su ciò che si fa a differenza invece di tutto il resto, dello scorrere degli eventi che non dipendono da noi. Ci si sente capaci, “padroni” di poter maneggiare con estrema attenzione il cibo e tutto ciò che ruota attorno a questa sfera.
La malattia però non può essere nascosta per sempre, colpisce poi, in modo più o meno rapido rispetto al susseguirsi dei pensieri, anche il corpo, e diventa, inevitabilmente visibile agli occhi degli altri. Ne compromette le funzionalità di base, andando ad alterare le funzioni vitali compresi, ad esempio, il battito cardiaco, la pressione arteriosa, l’assorbimento delle sostanze fino a danneggiare il funzionamento degli organi interni.
È in questo momento che inizia la corsa contro il tempo; in caso di minori, sono solitamente i genitori che si attivano per richiedere l’intervento medico ma, può anche accadere che venga richiesto l’aiuto “sbagliato”.
L’errore più comune è infatti quello di credere che sia una questione alimentare, risolvibile attraverso una dieta ma, meglio che sappiate fin da ora, che non è così.
IL DOLORE DELLA DIAGNOSI
I DCA, infatti, non sono disturbi risolvibili solo con l’intervento di un professionista che si occupa di nutrizione e alimentazione; tutt’altro. È estremamente necessario l’intervento di un’equipe multidisciplinare costituita da psicologo, psichiatra, medico e dietista o nutrizionista che prenda in carico, a 360°, il paziente e la sua famiglia.
Una volta che i professionisti hanno svolto tutte le visite necessarie inizia la presa in carico ossia il vero e proprio percorso di cura che è personalizzato sulla base del singolo paziente e che, per alcun motivo, può essere paragonato a quello di altri; il momento della diagnosi risulta estremamente doloroso e delicato per il paziente ma anche per chi lo circonda.
Tutto il sistema risente del dolore e della sofferenza del momento; come detto anche in precedenza è di fondamentale importanza la presa in carico non solo del paziente ma dell’intero gruppo familiare che si trova, quotidianamente, a fronteggiare la malattia che, inevitabilmente, rompe gli equilibri costruiti in precedenza.
Di fronte ad una diagnosi però, i genitori, possono manifestare differenti tipi di reazione: una presa di consapevolezza della malattia, una totale negazione della stessa oppure un momento di completo smarrimento in cui “c’è da capire costa sta succedendo”.
Riconoscere la presenza di una malattia non significa accettarla e lasciarsi in balia della stessa ma, al contrario, comprendere la sua esistenza, tentare di comprendere di che cosa si tratta ed attivarsi, nell’immediato, per poter aiutare il/la figlio/a nel percorso di cura; tutto ciò non avviene invece in coloro che negano la presenza della malattia, definendola un capriccio o ancora come una fase che passa da sola con il tempo.
Alla terza categoria, se così può essere definita, appartengono coloro che hanno compreso la presenza di un problema ma necessitano di più tempo per metabolizzare e attivarsi per il trattamento.
È importante sottolineare, però, che tali reazioni si manifestano, allo stesso modo, anche nel paziente a cui viene diagnosticato un DCA; la loro presa in carico risulta, per la maggior parte delle volte, difficoltosa proprio per la presenza di una contraddizione che sta in una delle affermazioni più frequentemente ripetute “io vorrei stare meglio ma, allo stesso tempo, non voglio”; il timore di lasciare andare l’estremo controllo esercitato sulla malattia provoca uno stato di dolore interno e di contraddizione assai forte e doloroso.
Accade anche che sia l’adolescente stesso (ricordiamo che è in questa fascia di età che, solitamente, esordiscono tali disturbi) a chiedere aiuto perché consapevole dell’enorme sofferenza in cui sta vivendo ma, altre volte, accade che via sia un’estrema inconsapevolezza della presenza della malattia e risulta, quindi, difficile la presa in carico del paziente che appare non collaborativo e privo di motivazione.
Vi invito a chiedere aiuto e/o a segnalare se notate un cambio improvviso nell’alimentazione, nei comportamenti rivolti al cibo e all’attività fisica di chi vi circonda perché, non è mai tempo sprecato chiedere aiuto.
…Nei prossimi articoli affronteremo più nel dettaglio questi argomenti, se vuoi approfondire ancora vai al nostro blog dove trovarai gli articoli delle nostre esperte dell’alimentazione sana.
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