Non hai bisogno di dimagrire per l'estate!

Non hai bisogno di dimagrire per l'estate!

scritto da Michela Artuzzi (@psicologa.michela.artuzzi)

Con l’avvicinarsi dell’estate, si fanno sempre più forti e presenti i pensieri riguardo il proprio corpo e di come esso appare agli occhi degli altri; questo non fa altro che alimentare il senso di inadeguatezza oltre che i sentimenti di disprezzo verso di sé legati all’immagine corporea.

Ciò si lega al fatto che, nei mesi più caldi, si tende inevitabilmente ad indossare, proprio per le temperature che si alzano, un abbigliamento più corto che espone maggiormente alcune parti del corpo che durante i restanti mesi dell’anno sono coperte; mi riferisco, ad esempio, agli arti inferiori, all’addome e alla schiena.

Queste specifiche zone del corpo sono spesso denigrate da chi fatica ad accettare il proprio corpo e le forme che esso assume; si verifica quello che viene definito un comportamento di controllo estremo detto, attenzione iperfocalizzata, ovvero un meccanismo per il quale viene direzionato un livello di attenzione estremamente elevato verso particolari parti del corpo volto a verificare costantemente che tutto rimanga com’è senza subire modificazioni. 

Questo comportamento di check continuo (o check corporeo) si osserva maggiormente nei momenti che precedono e/o seguono i pasti o le abbuffate, quando presenti ma non solo.

Il pensiero che spesso sorge in contemporanea è legato ad affermazioni come “Non mi piaccio”, “Le mie gambe sono troppo grosse”, “Ho troppo grasso nella mia pancia”; vengono quindi ricercate soluzioni in ciò che apparentemente è più rapido e, aggiungerei, di carattere pragmatico. Mi riferisco ai cambiamenti nell’alimentazione correlati proprio al desiderio di perdere peso per “vedersi meglio fisicamente”; non si considera però il rischio che un’alimentazione poco strutturata per lo più caratterizzata da restrizione eccessiva e fasi di digiuno e non stilata da professionisti quali dietisti e/o nutrizionisti porta con sé. Intendo dire che, credendo più facile “fare da sé” si perdono di vista le conseguenze, tra cui l’eliminazione di alcune specifiche categorie di cibi che conduce a raggiungere l’esito opposto rispetto a quello sperato. Inoltre, questo approccio all’alimentazione conduce a gravi conseguenze alla salute e all’organismo; in aggiunta a ciò, se abituiamo la nostra mente a classificare i cibi in sani e non sani, classificazione che nella realtà dei fatti non esiste, come già abbiamo discusso negli articoli precedenti non solo non avremmo i risultati sperati ma rischieremmo addirittura di peggiorare la situazione iniziale.

Il desiderio di cambiare il proprio corpo è lecito ed esaudibile nella misura in cui venga attuato un piano strutturato e studiato ad hoc per la persona; sebbene stia diventano “popolare”, e ben visibile attraverso i social media, la tendenza a doversi accettare per come si è nonostante tutto, io credo che ci sia modo di cambiare se il tutto viene fatto alla giusta maniera.

Il non piacersi, il non accettare specifiche parti del proprio corpo e agire per apportare dei cambiamenti trovo che sia un atteggiamento molto salutare benché rimanga definibile come sano; con questo intendo sottolineare, ancora una volta, che non vi sia estrema focalizzazione e un pensiero pervasivo rispetto alle tematiche dell’alimentazione, dello sport e dell’aspetto fisico e che non alteri il benessere psicofisico della persona.

Voler vedersi e sentirsi bene con se stessi è diritto di ognuno ma non serve se viene fatto per gli altri, se viene fatto per rispondere a dei canoni di bellezza ai quali siamo esposti quotidianamente ma che non saranno nemmeno minimamente raggiungibili proprio perché ideali, cioè non veri, non reali.

Funziona se lo facciamo per noi stessi, sempre, se diventa parte di noi e della nostra quotidianità come stile di vita perché ci piace, ci soddisfa e ci rende felici; farlo per l’estate non serva a nulla, ricorda che a lei non interessa nulla di come appariamo fisicamente così come la tanto temuta prova costume non è una “prova” o un esame da superare.

A tal proposito vorrei ricordare, a te che stai leggendo, che sono gli abiti, i costumi, i pantaloni che si devono adattare al nostro corpo, alle sue forme e alla particolare unicità di ognuno di noi e non viceversa; se il bottone di un paio di jeans non si chiude possiamo tranquillamente comprare una taglia in più senza sentirci inadeguati o in difetto per questo.

Due facce della stessa moneta

Volendo rimanere in tema abbigliamento vorrei parlarvi di una discussione avvenuta tra alcuni genitori rispetto al modo di vestire delle loro figlie che stanno affrontando un percorso di guarigione dai Disturbi del Comportamento Alimentare; rispetto alla loro personale esperienza se da un lato c’è chi dice che la loro figlia era solita indossare “abiti larghi e scuri” dall’altro, altri, affermano esattamente l’opposto ovvero la ricerca e l’utilizzo di un abbigliamento “aderente e colorato”. Questa riflessione, nella parte finale, ha portato con sé una domanda che io definirei curiosa e per questo ve la riporta anche qui: “Perché, se il disturbo è lo stesso, c’è questa differenza?”.

Mi ha incuriosito molto la parola differenza manifestandosi, i DCA, in modo unico e specifico in coloro che ne soffrono e il tema dell’abbigliamento ne è un esempio pratico; vestirsi con abiti dal colore scuro come il nero o il grigio e di alcune taglie più grandi porta con sé, come mi spiegano alcuni, il significato del volersi coprire come a nascondere, rendere invisibile ciò che c’è sotto, un corpo che non si apprezza, del quale si odia letteralmente qualsiasi parte tanto da voler quasi farlo scomparire del tutto (pensiero che non è detto non sia presente anche in chi indossa abiti dalle caratteristiche opposte, più sopra descritte).

A questo si lega anche un altro tema molto importante ovvero quello dell’autolesionismo; le larghe maniche dei maglioni fungono anche da coperta a quell’immenso dolore reso visibile con le ferite afflitte proprio su quel corpo che tanto si desidera nascondere. 

Le testimonianze di alcuni sostengono che “solo vedendo il sangue che scorre mi sento meglio” quasi a dire che, solo rendendo visibile ciò che il mio corpo ha dentro “posso buttare fuori la sofferenza e stare bene”, una sensazione di benessere che è però limitata a quel momento fino a quando la sofferenza ritorna a farsi sentire in sé e in quei pensieri pesanti come macigni che faticano ad alleggerirsi.

  

…Nei prossimi articoli affronteremo più nel dettaglio questi argomenti, se vuoi approfondire ancora vai al nostro blog dove trovarai gli articoli delle nostre esperte dell’alimentazione sana. Seguici su Instagram o sul nostro ricettario online per avere tante ricette sane e gustose.

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