Perdersi per poi ritrovarsi

Perdersi per poi ritrovarsi

scritto da Michela Artuzzi (@psicologa.michela.artuzzi)

Come abbiamo visto negli articoli precedenti i disturbi del comportamento alimentare hanno esordio nell’età adolescenziale ed è difficile, se non impossibile, poter stabilire un’unica causa alla base della loro manifestazione; molti, infatti, sono i fattori che possono essere rilevati come il ruolo della famiglia, i social media e l’influenza del gruppo dei pari.

L’adolescenza, età in cui questi disturbi si manifestano maggiormente, non è solo un periodo di vita in cui l’adolescente si allontana (in senso figurato) dal sé bambino per avvicinarsi alla nuova vita di adulto ma, in questa fascia di età accade anche un processo per egli determinante che può essere spiegato partendo da uno dei concetti base della psicologia ovvero il processo di separazione-individuazione.

Questo binomio fa riferimento ad una specifica fase dello sviluppo in cui, in particolar modo l’adolescente, necessita di separarsi dalle figure di riferimento che fino ad allora sono state per lui un punto fermo e fondamentale per la crescita e lo sviluppo, per trovare se stesso attraverso la conquista dell’autonomia e la scoperta di sé anche attraverso il confronto con i pari; infatti, in precedenza il bambino, l’attuale adolescente, che faceva riferimento alle figure genitoriali per il soddisfacimento dei suoi bisogni e per tutto ciò che riguardava lo sviluppo sia fisico che emotivo, ora esprime una vera e propria necessità di distacco da essi per potersi autoaffermare.

Come dicevo poco sopra non abbiamo la certezza di un’unica causa scatenante alla base dei DCA ma la manifestazione di alcune difficoltà nell’evolversi di tale particolare processo andrebbe presa in considerazione e analizzata più dettagliatamente.

Durante la ricerca di sé l’adolescente incorre in un periodo di smarrimento, immaginate, deve imparare a camminare con le sue gambe laddove prima c’era qualcuno che gli reggeva la mano; attraverso la conoscenza di sé, grazie al confronto con gli altri e ai riscontri che riceve dagli altri su di sé costruisce le basi per la sua autostima e la crescita. Appare quindi reale e innegabile il “perdersi per poi ritrovarsi”, un’esigenza dell’essere umano quando, in un momento di difficoltà sembra quasi perdere la rotta, viaggiare su binari diretti in un’altra direzione che però poi, paiono ricongiungersi e portarlo a destinazione, la stessa a cui aspirava quando era partito; può succedere di sentirsi persi, di non riconoscersi più, di lasciare che le difficoltà prendano il sopravvento, ma molto spesso questo periodo di smarrimento può essere d’aiuto per riprendere in mano la via dove era stata lasciata, con un bagaglio maggiore sulle spalle, fatto di esperienze che, sebbene abbiano portato a galla un’ immensa fragilità, hanno anche permesso di conoscerla e accettarla e, perché no, usarla per farsi forza. 

Non sempre il perdere la rotta è un male, è essenziale tentare di prendere il positivo anche da ciò che, apparentemente e momentaneamente, non ne ha.

Essere genitori di chi soffre di disturbi alimentari

Ripeterò fino a che avrò voce di farlo che la cura e il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare, sebbene questi colpiscano direttamente il/la paziente che ha ricevuto la diagnosi, non possono in alcun modo escludere il nucleo familiare; l’importanza e il sostegno delle figure di riferimento dal momento della nascita del bambino è oramai più che nota ma è altrettanto fondamentale per tutto ciò che riguarda, come in questo caso, il sostegno e il supporto nelle delicate fasi della malattia.

La malattia, qualunque essa sia, comporta smarrimento, difficoltà, sofferenza e anche se non direttamente colpisce tutto il contesto in cui si è fatta spazio, che, inevitabilmente subisce una mutazione non di certo ignorabile; le modalità di trattamento di chi è in cura per DCA si differenziano in base a molteplici aspetti come lo stadio della malattia o l’età del/della paziente ma, i genitori ed eventuali fratelli indicati come siblings (per cui mi riservo uno spazio a parte) dovrebbero essere inseriti in quanto necessitano, essi stessi, supporto e sostegno.

All’interno delle mura domestiche non è possibile affidarsi alle cure specialistiche di medici, psicologi o dietisti per cui le difficoltà, le liti, le crisi e i momenti di fragilità estrema vengono affrontati da genitori allo stremo delle forze che, come accade spesso, si annullano rischiando di mettere in crisi il rapporto di coppia e la solidità della famiglia perché evidentemente in difficoltà nell’affrontare ciò che sta loro accadendo e che viene spesso definito “più grande di noi”.

“Non ho più tempo per me”, “Non ricordo l’ultima volta che, come coppia, abbiamo passato del tempo insieme”, “Sento di aver tralasciato il fratello e per questo temo le conseguenze”, “Ho dovuto lasciare il lavoro”; entra in crisi quindi tutto il sistema familiare, i ritmi, le abitudini, l’equilibrio salta per fare spazio alla malattia, come se fosse un nuovo elemento della famiglia, con la quale combattere a fronte di tutte le conseguenze che ne derivano. Un genitore si sente impotente davanti ad essa, vorrebbe salvare tutti e per cui desidera solo il meglio ma, a volte, non è possibile e quindi bisogna provare almeno a salvare se stessi.

Il concetto del perdersi per poi ritrovarsi credo possa riferirsi fortemente anche ai genitori, mamme e papà presi dallo sconforto di fronte ad un ostacolo più grande di loro, che non sanno come affrontare perché sembra che qualunque direzione scelgano di prendere sia un errore; vive in loro il timore di parlare o di agire in modi che potrebbero condurre a delle conseguenze disastrose, peggiorando la situazione o, ancora, si è fatta largo in loro la percezione che dall’altra parte non vi sia interesse, in altre parole, non venga compreso il loro sforzo. Nella realtà dei fatti chi soffre di DCA non ha sempre piena consapevolezza della malattia, può quindi pensare che i tentativi dei genitori siano infondati e inutili, “una perdita di tempo” o “un’esagerazione” perché non ci si percepisce malati; d’altro canto, nei rari momenti in cui la malattia viene messa da parte la sofferenza e la preoccupazione negli occhi dei genitori viene vista e vi è pieno riconoscimento delle battaglie che essi stanno affrontando. Le parole di sostegno e di incoraggiamento, i gesti di attenzione e cura sono come medicina per chi si trova nel dolore di un DCA.

Anche ai genitori può servire il perdere la rotta, “sbagliare” e vivere a pieno queste difficoltà per poi trovare la forza in sé e/o nel partner e poter iniziare nuovamente un percorso di vita più consapevole; sebbene io comprenda che sia più facile a dirsi che a farsi, lo spazio e il tempo per sé non andrebbero mai tralasciati, sono la boccata di aria fresca in un giorno di caldo torrido, il raggio di sole dopo la tempesta, essenziali.

…Nei prossimi articoli affronteremo più nel dettaglio questi argomenti, se vuoi approfondire ancora vai al nostro blog dove trovarai gli articoli delle nostre esperte dell’alimentazione sana.

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