Un numero sulla bilancia? Sei molto di più

“Voglio arrivare a 50 kg così mi sentirò finalmente bella”

“Posso dimagrire ancora un po’, arrivo a 46 kg poi mi fermo”

“Non mi piaccio ancora del tutto, quando vedrò scritto 40 kg sulla bilancia, prometto che mi fermerò”

Non sei un numero sulla bilancia, sei molto di più!!

piedi sulla bilancia. un numero sulla bilancia

Questo meccanismo di ricerca del “numero perfetto” da raggiungere è uno dei sintomi più comunemente riscontrato in chi soffre di disturbi del comportamento alimentare; il pensiero che si instaura nelle loro menti è che il loro sentirsi più attraenti, più belle, più sicure di sé e più amate sia inversamente proporzionale alla perdita di peso, facendo, proprio di questo numero l’unico obiettivo da raggiungere.

Mi riferisco principalmente, in questo caso, alla popolazione femminile in cui abbiamo già osservato esserci un’elevata presenza di questi disturbi ma, lo stesso ragionamento può essere riservato anche a quella maschile.

Si desidera essere più belle, più magre, più in forma, più piacevoli agli occhi degli altri, più..più, come se si dovesse essere sempre altro rispetto a come si è, come se essere così, se stesse, non andasse bene, fosse troppo poco, che poi, poco rispetto a cosa?

Quel numero non identifica la persona, è un numero e come tale deve essere considerato, non è un 38 kg a definirti una persona migliore di chi ne pesa 40, 50, 65, 80 di kg o viceversa, ma è quello che sei tu a definire chi sei davvero; sono i tuoi pensieri, le tue emozioni, i tuoi progetti, le tue conquiste e i tuoi fallimenti, le tue gioie e i tuoi dolori, le tue passioni. Tutto questo e ancora di più definisce chi sei, ma non un numero sulla bilancia.

L’importanza di esporsi

Noi essere umani, per definizione, siamo animali sociali; viviamo all’interno di una società in cui vengono condivisi valori, interessi, pensieri, regole (e molto altro) e in cui, inevitabilmente, siamo esposti al giudizio altrui basato, almeno inizialmente, su una prima impressione visiva che vede, come primo interessato, il corpo.

Giudicare..

La parola giudicare deriva dal latino judĭcare da judex (giudice) che, a sua volta, deriva dall’unione di ius+decs (dicere) ossia colui che dice, che si pronuncia sul diritto. In altri termini, nel modo più ampio come lo intendiamo noi, giudicare significa valutare, stimare, esprimere un’opinione. 

Il nostro corpo

Già nell’antichità il corpo aveva iniziato ad assumere un significato assai importante, basti pensare all’elevato numero di statue raffiguranti donne posizionate accuratamente per enfatizzare le curve e uomini-guerrieri muscolosi e dallo sguardo fiero di mostrare così tanta forza.

Quindi, da molto prima dell’anno corrente, si è sempre cercato, riuscendovi (mi verrebbe da aggiungere), di esporre pubblicamente il corpo usandolo, se così possiamo dire, come oggetto di attenzione; oggi, il meccanismo è esattamente lo stesso anche se statue marmoree e dipinti da esposizione sono stati ampiamente rimpiazzati da passerelle, social media e televisori a schermo piatto. 

Oggi, il mondo virtuale

Quotidianamente milioni di persone al mondo hanno libero accesso al mondo virtuale, potremmo dire, quasi senza limiti anagrafici dato che, fin dalla più tenera età anche i bambini vengono esposti ai device elettronici; attraverso i canali social vengono trasmesse infinite informazioni, ma stando a ciò che è di nostro interesse ai fini dell’articolo, vorrei porre particolare attenzione ai modelli ideali di bellezza.

Gli standard culturali impongono, in modo più o meno esplicito, norme di attrattività fisica, peso corporeo, forma e taglia dettando cioè cosa è accettabile e desiderabile e cosa, invece, non lo è.

Ci troviamo quindi di fronte al continuo paragone tra come si è e come si vorrebbe idealmente apparire ma, se il divario tra queste due prospettive è troppo ampio il rischio di sviluppare sentimenti di inadeguatezza e insoddisfazione corporea è molto elevato. 

Il timore del giudizio

Ad oggi, nella società occidentale, l’ideale di bellezza per il genere femminile è caratterizzato dalla ricerca della magrezza anche se, negli ultimi tempi si sta affermando proprio attraverso i social media l’ideale di corpo muscoloso, atletico e tonico, più comunemente definito “fit”. Il timore di non rispecchiare questi ideali accresce, in chi cerca fortemente di raggiungerli, il timore del giudizio esterno, da parte soprattutto dei pari. 

Ecco, è proprio questo, il giudizio altrui ad essere la causa di tanto dolore. Mi spiego meglio: una frase detta in un momento sbagliato, un tono ironico mal interpretato, una parola di troppo o un’opinione non richiesta possono essere alcuni dei molteplici fattori alla base di una sensazione di malessere, della nascita di insicurezze e pensieri disfunzionali diffusi, in un’alta percentuale, in chi soffre di disturbi alimentari.

Tutto poi ruota attorno alle forme, alla grandezza delle cosce, della pancia, delle braccia o di qualsiasi altra parte del corpo che, all’improvviso sembra non andare più bene, appare brutta, grossa, troppo rispetto a quello che si è visto nella foto di Instagram di quella famosa influencer in bikini. L’eccessiva attenzione rivolta ad una specifica parte del corpo prende il nome di attenzione focalizzata proprio perché il focus della persona è centrato su quella parte del corpo, con la paura che si modifichi e “torni grossa come prima”.

Prendi la malattia e falla sedere lì, vicino a te

I disturbi alimentari non si risolvono con un piano alimentare, una chiacchiera tra amiche e un gelato in più, serve molto più di tutto ciò; proprio perché malattie mentali, questi disturbi richiedono periodi di trattamento intensivi e prolungati che possono durare mesi, anni e, nei casi di cronicizzazione, anche tutta la vita. Affidarsi ad un’équipe multidisciplinare è quindi un passaggio essenziale per ricercare l’aiuto di cui si ha bisogno.

prendi la malattia e falla sedere lì, vicino a te

È fondamentale sottolineare che la persona a cui viene diagnosticato il disturbo alimentare non è il suo disturbo alimentare; quest’ultimo porta con sé molta sofferenza, pensieri disfunzionali persistenti e pervasivi riferiti al cibo, al peso e al corpo che occupano la mente in modo costante e che portano, chi ne soffre, a pensare di non potersene liberare mai.

È molto importante invece che il paziente capisca che quei pensieri che sono causa di così tanta sofferenza non dipendono dalla sua buona o cattiva volontà ma sono frutto della malattia; ecco perché serve aiutarli a “prendere la malattia e farla sedere vicino a loro” per far loro comprendere che sono due entità distinte e separate, che il volere del paziente come persona senza malattia è differente da quello del paziente portatore della malattia.

Questo processo però è molto difficile e dispendioso in termini di tempo ed energie e, la mancata scissione delle due entità, è il motivo per cui, spesso essi manifestano il desiderio di guarigione ma faticano ad attuare tutto ciò che è necessario per compierlo.

 

…Nei prossimi articoli affronteremo più nel dettaglio questi argomenti, se vuoi approfondire ancora vai al nostro blog dove trovarai gli articoli delle nostre esperte dell’alimentazione sana.

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